1 Giu 2024, 13:48 | a cura di Marina Alaimo
Potremmo dire che i vini dei Campi Flegrei oggi sono di gran moda. Sì, perché sono vini vulcanici e intorno a questo settore c’è un’attenzione notevole, da tutto il mondo. Anche il loro essere naturalmente sottili è una caratteristica sempre più ricercata per essere in linea con la ristorazione che già da tempo va speditamente in questa direzione. Il consumatore, sia italiano che di altri paesi, tende a preferire vini dal corpo agile, quindi leggiadri e freschi. Tutte peculiarità strettamente legate alle terre ardenti, i Campi Flegrei, territorio dove nulla è stabile, gli ultimi terremoti lo dimostrano, e dove tutto cambia di continuo per l’attività vulcanica sviluppata al di sotto di più di quaranta crateri. Sono loro ad avere forgiato queste terre, rendendole così belle e uniche, croce e delizia in moto perpetuo. Un super vulcano con più di 80mila anni di attività, tra il più importante al mondo. I suoli polverosi, sottili come cipria, ricchi di ceneri ed altri materiali eruttivi, caratterizzano fortemente i vini, così come la scelta di utilizzare due vitigni, la falanghina per i bianchi, il piedirosso per i rossi. La prima in questo areale si esprime magnificamente acquistando il timbro minerale, ma anche profondità e capacità di evolvere lungamente nel tempo. Il piedirosso, che già per natura esprime un andamento agile, qui esalta ulteriormente tale aspetto, diventando rosso di grande eleganza. I flegrei sono notoriamente gente un po’ “matta”, diciamo così, molto probabilmente proprio perché la precarietà dei luoghi, e lo storico legame con le attività marittime e i vulcani, delineano tali inclinazioni della personalità. E che ben vengano in questo caso, ci viene da dire, perché un po’ di sana follia tra le vigne è graditissima per andare oltre il consueto.
La vita in vigna dei Campi Flegrei
La viticoltura nei Campi Flegrei ha radici antichissime, ha accompagnato fedelmente la storia della sua gente. Ricordiamo che i greci ne erano innamorati, che Cuma è stata la loro colonia più grande, più importante, e che impiantarono la vite lungo tutta la linea costiera tra Posillipo e l’areale flegreo. I romani, a loro volta, investirono in maniera importante, fondando la città di Baia, sede di ville fastose, dell’élite, dell’otium e delle terme, mentre Miseno accoglieva la grande flotta di Augusto, che scelse queste terre del mito per allontanarsi da Roma, ormai troppo insidiosa per lui. A loro volta investirono in maniera importante sulla viticoltura, un’ eredità che si protrae attualmente tra i vignaioli. Anche se le dimensioni di vigne e cantine si sono notevolmente ridotte, ma crescente è la qualità dei vini e la loro espressività territoriale.
Tra le cantine più rappresentative c’è Agnanum di Raffaele Moccia, qui detto l’ultimo “votecaro”, ovvero l’ultimo esperto nella gestione e manutenzione dei terrazzamenti che richiede tanta esperienza e abilità. Per il motivo che il suolo è sottile come cipria, polveroso, tende quindi a franare, o anche a dissolversi, sotto l’azione della pioggia e del vento. Le sue sono vigne storiche certificate, sul grande cratere di Agnano. Utilizza cloni di famiglia, che costantemente, sia lui che il padre Gennaro, hanno riprodotto secondo il principio della propaggine, ma anche con una tecnica sperimentata da loro che consente di mantenere nel tempo piante dal dna eccezionale. Nei vini tutto questo si sente, si fanno notare per la forte identità e per quelle sfumature così esclusive. Falanghina e piedirosso tra i vecchi tralci, ma anche piccoli vitigni, in misura molto ridotta, ormai introvabili. Di recente abbiamo stappato la sua Falanghina dei Campi Flegrei 2011, incredibilmente viva e accattivante, di piena eleganza sia di profumi che all’assaggio, rompendo il pregiudizio ancora diffuso sul fatto che questa tipologia di bianco possa avere evoluzioni così lunghe nel tempo e di tale spessore. Maestro anche del piedirosso, sia nella versione base, che nel cru Vigna delle Volpi, posta in bilico tra il cratere di Agnano e quello degli Astroni, notevole quest’ultima per profondità e lunghezza. Raffaele da solo nel corso degli anni ha reimpiantato la vite sulle colline di Agnano, riportandole a quell’aspetto rigoglioso di un tempo.
olo nel corso degli anni ha reimpiantato la vite sulle colline di Agnano, riportandole a quell’aspetto rigoglioso di un tempo.
La cantina in mezzo a un bosco
Cantine Astroni è poco distante, come ci ricorda il nome si trova sulla collina del Parco Naturale degli Astroni, un bosco incantato sviluppatosi all’interno del cratere spento. Gerardo Vernazzano le conduce insieme alla sua famiglia e riveste il ruolo di enologo. Importanti sono i suoi studi enologici nel territorio, ed in particolare quelli condotti sul piedirosso che hanno introdotto miglioramenti significativi sulla gestione di questo vitigno dal carattere non facile e dalla produttività ridotta. La famiglia di Gerardo, inoltre, porta avanti da tempo una valida attività di enoturismo che contribuisce alla giusta conoscenza della vitivinicoltura flegrea, sia in Italia che all’estero. Tra i suoi vini di spicco ricordiamo la Falanghina dei Campi Flegrei Tenuta Jossa, un fuoriclasse senza ombra di dubbio, l’ultimo nato, tra i filari della collina dei Camaldoli. Di grande personalità, con un piccolo saldo di fiano, fermentazione e affinamento sur lies in anfora. Grintosa e dal timbro minerale deciso, graffiante l’assaggio che lascia intuire tutta l’energia per cavalcare con sicurezza i tempi lunghi. Sono diverse le etichette e le interpretazioni di falanghina e piedirosso, qui detto per’ ‘e palumm’ per il colore del raspo, rossiccio, che ricorda quello dei colombi (palumm’ in napoletano). È il vitigno a bacca rossa proprio dell’areale vulcanico intorno a Napoli, oggi molto valorizzato e rivalutato grazie all’impegno di questi valenti produttori. Colle Rotondella è la perfetta fotografia di questa tipologia di vino, prodotto totalmente in acciaio, floreale di viola e geranio, sottile e fresco il sorso che si fa riprovare con avidità.
La piccola azienda che sa di fiaba
Peppino Fortunato e sua moglie Sandra Castaldo sembrano quasi due personaggi usciti da una fiaba. Nel 2004 hanno dato vita al sogno tanto desiderato di fondare una cantina, Contrada Salandra a Pozzuoli. Piccola azienda molto virtuosa, circa cinque ettari, dove il sentirsi in armonia con l’ambiente è il mantra che domina ogni pensiero e azione. Poche volte capita di incontrare sguardi così puri. Peppino ha sondato ogni piccola particella del priprio terreno dove troviamo una presenza di sabbia dell’80%, poi limo e argilla, consapevolezza utilissima per stabilire esattamente cosa coltivare e in quale punto preciso. L’altra loro grande passione è l’apicoltura alla quale si dedicavano già prima e con i medesimi principi. Due le etichette, Falanghina e Piedirosso, entrambi gioiellini che valgono ben altri soldi, quelli che ai due viticoltori però poco interessano. O per fortuna?
Sguardo al mare
Con Cantina del Mare ci spostiamo a Monte di Procida, in prossimità del mare. Il colpo d’occhio arrivando è emozionante, le vigne poste ad anfiteatro guardano verso sulla costa, hanno proprio di fronte, e vicinissima, l’isola di Procida dietro la quale si mostra perfettamente allineata Ischia. Qui la famiglia Schiano dal 2003 si è impegnata a recuperare le vecchie vigne di falanghina e piedirosso, ed a fare accoglienza per trasmettere il valore storico e paesaggistico della propria realtà.
Da cinque generazioni i Di Meo allevano la vite a Bacoli, in prossimità dell’Antro della Sibilla romana, dalla quale prende appunto il nome l’azienda La Sibilla. I vigneti a terrazzamenti si spingono fino a 600 metri di altitudine, una rarità da queste parti. Visitare le vigne insieme a loro è un’esperienza che si fa ricordare lungamente, per più motivi. In primis la genuinità delle persone, solari e generose, che sentono in maniera profonda l’importanza di perpetuare i saperi acquisiti sul territorio e sulla vite da tempi così lontani. Vincenzo Di Meo, ultima generazione, è anche enologo e la sua entrata in scena ha dato una grande spinta all’espressività dei vini. Sulla parte più alta della collina il panorama si apre in piena libertà sul mare e la costa, lasciando senza parole. Le vigne sono attraversate da mura romane e grandi cisterne appartenenti all’imponente acquedotto augusteo che portava acqua dall’Irpinia ai Campi Flegrei. In una delle cisterne i Di Meo hanno ricavato la cantina di affinamento dei vini – avere il privilegio di degustare con loro vecchie annate non ha pari. Anche loro sono l’esempio vivente dell’altissimo profilo qualitativo che l’enologia flegrea sia in grado di esprimere. Oltre a eccellenti falanghine e piedirosso producono il Marsigliano, vino da uve marsigliese, rarissime, piedirosso e olivella, vino dalla grande personalità. Particolarmente eleganti sia le falanghine che i piedirosso.
Cantine Federiciane a Marano dove i fratelli Luca e Antonio Palumbo continuano la produzione dei loro genitori, puntando a un progressivo aggiornamento e miglioramento dell’attività. Durante il Covid si sono dedicati ad un progetto impegnativo e sensibile. Recuperare un vecchio vigneto sulla collina di Cigliano, tra Agnano, che rientra nel comune di Napoli, e Pozzuoli, che fa comune a sé. Quattro ettari nell’antica forma ad anfiteatro, acquisiti dopo un lungo periodo di abbandono. Il tempo sospeso del lockdown ha dato loro l’energia e la possibilità di lavorare intensamente al recupero. Il risultato è decisamente appagante per la bellezza riemersa, amplificata dalla vista sul mare. Vigna Cigliano Solfatara è il nome dei vini prodotti, bianco e rosso. La viticoltura di tutti loro si può definire eroica per le asperità di un territorio così particolare e difficile. Le vigne più vecchie sono tutte a piede franco, un valore aggiunto di notevole importanza, scampate al flagello della fillossera che non riesce ad attecchire sui suoli vulcanici e sabbiosi. Inoltre, sono importanti custodi del paesaggio e di un territorio dove la speculazione edilizia ha fatto molto danno. La bellezza da queste parti è soprattutto opera dei vignaioli.